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Dimmi, ma chi ce lo fa fare?

Inserito da Giuseppe.Mauri il 17/02/2015 alle 19:28 nella sezione cross & trail

Chi me lo fa fare?

Questa è la domanda che mi girava per la testa sabato mentre andavo a Monza. Guidavo vagamente teso sotto la pioggia (in bici neanche a parlarne, visto che all’uscita di casa era più neve che pioggia…) e intanto cercavo di razionalizzare le ragioni che mi spingevano ad andare a correre questa tappa del “brianzolo”, nonostante la pioggia, il fango, la fatica, la consapevolezza di risultare neanche tanto vagamente ridicolo agli occhi dei ragazzi che ci avrebbero guardato in attesa della loro gara….

Il buon Antonio Ruzzo, nel suo bel blog, parlando della “cinque mulini” domenica sera scriveva che il fango è “la polvere magica che ci fa tornare un po’ tutti bambini quando si aspettava la pioggia per andare a giocare al campo. E’ il coraggio di provarci lo stesso anche quando non si potrebbe o non si dovrebbe (…..) E’ il fango che esalta i gesti e il racconto. Che sfigura le facce, che cancella gli sponsor delle maglie, che rende tutto e tutti uguali. La differenza la fanno i sorrisi. La differenza la fa la gioia che si leggeva stamattina al traguardo di tutti quelli che sono arrivati alla fine. Stanchi, sporchi, irriconoscibili. Poi una doccia e via a ritagliarsi il pezzettino di gloria”.

Bello eh? Eppure non sono convinto del tutto. Dire che da bambini si aspettava la pioggia per andare a giocare al campo non mi convince. Per prima cosa non mi passava neanche per l’anticamera del cervello di andare a giocare sotto la pioggia. E se anche ci avessi pensato, sono certo che la mia mamma mi avrebbe fatto cambiare idea in un momento (con due sberle ben assestate).

E cosa dire del coraggio di provarci lo stesso anche quando non si dovrebbe o potrebbe? Provare a fare cosa? A prendersi in giro da soli?

Non giriamoci tanto intorno. In fondo penso che soffriamo tutti della sindrome del pescatore: sentiamo il bisogno di pescare un pesce grande per poi raccontarlo in giro, a partire da noi stessi. E allora la facciamo grossa e poi la raccontiamo ancora più grossa. “Oh, ma quanto fango c’era?” - “Eh, ma io non correvo da due settimane e pensavo proprio di non farcela” (e intanto ti ha dato mezzo giro di distacco e ti ha aspettato all’arrivo giusto per umiliarti un po’).

Ma sono pronto a cambiare idea: forse siamo proprio bambini che non corrono più il rischio di prenderle. E allora, in modo un po’ codardo, ci andiamo a prendere le soddisfazioni che non ci siamo presi da piccoli. Insomma: chi comanda dentro di noi è sempre la parte fanciulla del nostro io.

E mentre scrivo queste cose mi torna in mente il Piermario che, alla prima uscita a Cantù, citava Pascoli (c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico). Cacchio, ma è proprio Pascoli che parlava di poetica del fanciullino.

Mi documento: Il fanciullino" (1897) è una dichiarazione di poetica in cui Pascoli afferma che dentro di noi c'è sempre un bambino, anche se diventiamo adulti. Mano a mano che si cresce la voce del bambino viene ascoltata solo dal poeta. La poesia quindi è estranea alla razionalità, è irrazionale e intuitiva, una forma di conoscenza profonda della realtà. La poesia non è privilegio di pochi; è un dono concesso a tutti, ma sfruttato solo dai poeti.

Aspetta un attimo: ma allora, se correre sotto la neve in mutande è una cosa determinata dal fanciullino che c’è in noi, posso senz’altro affermare che, correndo infangati come dei primati durante la stagione delle piogge, inconsapevoli poeti delle scarpe chiodate, non facciamo altro che comporre poesie nella pioggia e in questo modo conoscere la realtà in modo più profondo (sprofondando nella palta, direi!!)

Cacchio, che pirla che sono: ho passato parte del mio tempo a prendere per i fondelli un’accolita di sommi letterati impegnati a scrivere pagine immortali arrancando in salita o scapicollandosi in discese vertiginose.

GiPi, Piermario, Lucio, non posso che chiedervi scusa, ma solo ora ho capito. Chiedo scusa anche a tutti gli altri, a cominciare dal Mistair, ma loro sono giovani, e magari hanno meno urgenza poetica.

Ultimo appuntamento a Carate Brianza sabato 28 Febbraio.

Mi auguro che saremo in tanti a celebrare la fine di questo campionato della poesia, corso sulle belle colline della dolce e sobria Brianza.

Appuntamento sotto il nostro vessillo (GiPi, stavolta giuro che mi ricordo di portarlo!).


CAMPIONATO BRIANZOLO DI CORSA CAMPESTRE
4^ tappa - Parco di Monza, sabato 14 feb. 2015


posizione nome cognome cat. pos. cat. tempo
35 Patrizia Fiorentini DONNE 2 14:43
56 Bianca Milani DONNE 5 16:37
41 Lucio Bazzana UOMINI OVER 50 4 27.34
59 Gianpaolo Calegari UOMINI OVER 50 11 28.48
67 Giuseppe Mauri UOMINI OVER 50 11 29.41
74 Piermario Sasso UOMINI OVER 50 7 30.09
13 Gianni Pistis UOMINI 40-45 5 23.42
37 Stefano Scala UOMINI 40-45 20 26.03

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Commenti
  • piter 19/02/2015 alle 10:23:58 , modificato il 2015-02-19, alle 10:24:47 rispondi
    Grande Giuseppe.
    Condivido con un po' di emozione tutto quello che hai scritto. La domanda del titolo ho smesso di farmela da un pezzo: mi ritorna soltanto dopo il 70° km di una cento, ed è anche per questo che ho smesso di fare le cento. La vita mi ha insegnato che ci sono domande che non hanno risposta; oppure hanno risposte multiple, che è come dire nessuna. A un giornalista che gli chiedeva perché volesse scalare l'Everest George Mallory rispose: "Perché è lì" (http://it.wikipedia.org/wiki/George_Mallory). Questo non significa che le domande non dobbiamo farcele ("Fatti non foste..."), ma che non è detto che ci sia sempre una risposta. Forse il nostro destino è cercarla - magari anche ... di corsa, assecondando il fanciullino pascoliano che è in noi - ma sapendo che potrebbe anche non esserci. Comunque, è straordinario che dai ... pascoli fangosi del brianzolo siano nate riflessioni come quelle contenute nel tuo magnifico articolo. In fondo, per tutti, e per sempre, "c'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico".
    piermario